“The dreams” di Marina Salucci

Per l’appuntamento domenicale con i racconti di Marina Salucci ecco “The dreams”, un suggestivo incontro tra una ballerina ed un’antica statua:

– Chi sei?, chiese la danzatrice, continuando a tessere delicate armonie.

– Non ha senso chiedermi chi sono, rispose la statua con aria di irritata tristezza. Io non sono. Non sono più. Una statua incrostata dai licheni del tempo, bloccata in un gesto, in una forma. Se dentro c’era qualcosa di me, ormai è soltanto pietra.

La danzatrice non si era fermata e metteva in ogni gesto tutta la sua vita.

– Ti chiederò dunque chi eri, disse, e il sole sfavillava.

– Oh, sì, ecco, s’illuminò la statua, questo puoi, questo ha senso. Si prese qualche istante di silenzio, non doveva essere una cosa semplice.

– Sono stato un fauno, disse con fierezza poi. Ho vissuto nel bosco tiepido, in simbiosi con il mutare delle stagioni, ho gioito del nascere e del morire, del vento, dei gorgoglii, dei sussurri. Ho parlato con le gemme e con le foglie rosse, ho regalato agli uomini buoni auspici e profezie. E ho conosciuto creature meravigliose, di cui, come me, non resta che parvenza.

– E poi?, chiese la danzatrice, e intorno a loro il sole creava macchie d’ombra e luce sulle foglie. Ci furono lunghi attimi di silenzio, ma lei non smise di tessere armonie, il sole continuò a salire, e il fauno si risolse a continuare.

– E poi gli uomini si sono sentiti onnipotenti, hanno voluto conoscere e spiegare tutto. Anche ciò che non è conoscibile. Avanti con i loro “perché?”. Hanno negato le ombre, rischiarandole ad ogni costo e i nostri occhi ne sono stati abbagliati. La nostra esistenza è stata negata. Siamo fuggiti, per proteggerla, e la nostra fuga non aveva fine. Cercavamo altri boschi tiepidi, in cui il chiaroscuro creasse il mistero, in cui ogni giorno venissero intrecciate magie e ragnatele. Ma non c’erano più. Gli uomini avevano ormai inventato la ragione che tutto crede di poter spiegare. E con quella ci liquidarono. La pesantezza cominciò a divorare i nostri passi. I canti cessarono. Svaporammo con i nostri sogni. Diventammo pietra, statua. Avevano vinto.

Non è facile accomunare bellezza e dolore. Ma i gesti della danzatrice lo fecero.

– È una storia triste, disse. Ma non credo che dentro di te tutto sia pietra, e non credo che i sogni si possano negare per sempre. Guarda, guarda quanti ce ne sono nell’aria, e indicò le ombre e le luci create dal sole, alcune danzavano fra i rami e le foglie, altre se ne volavano via nell’aria come palloncini colorati.

Il fauno guardò, attento.

– Ci sono, sì, ma a chi interessano ormai? Chi è disposto a coglierli e cavalcarli, ma al volo, senza chiedere garanzie, a trattarli con cura, altrimenti scoppiano come bolle di sapone? Gli uomini vorrebbero fare contratti con i sogni. È per questo che io sono statua.

La danzatrice sentì la pesantezza del sole che saliva e che le premeva le membra. Sentì il freddo della paura. Non c’era molto tempo per pensarci. Doveva decidere, ora. Perché c’era un sogno che volava verso di lei. Era morbido come una nuvola. Si riscosse, intonò un nuovo passo, e alzò la mano, lieve, per poterlo carpire.

– Tu non credi che verrà un altro tempo? Che gli dei tornino di nuovo a incontrarsi, sorridersi e immaginare un mondo altro, e che ogni cosa che loro sogneranno insieme diventerà vera?

Il fauno accennò un sorriso.

– Non ho mai smesso di sperarlo.

– Bene, disse la danzatrice con una spudorata determinazione. Io danzerò fino ad allora.

The dreams

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