I RACCONTI DI MARINA SALUCCI – SENZA CHE TU TE NE ACCORGA

Seconda parte del racconto di Marina Salucci Senza che tu te ne accorga, che narra le avventure che accadono ad uno scrittore in cerca di ispirazione. Potete leggere la prima parte qui: https://limontenews.wordpress.com/2022/09/17/i-racconti-di-marina-salucci-senza-che-tu-te-ne-accorga-prima-parte/

Ecco un sentimento forte su cui lavorare, pensò subito Nicola. Questa donna odia suo marito, forse l’odio la distrugge eppure continua a recitare ogni giorno la sua parte di moglie felice, bello spunto, bello spunto su cui lavorare, ma occorreva saperne di più.

-E perché l’ha sposato, signora? Se mi posso permettere, che cosa l’ha spinta verso di lui?

La signora si era calmata un poco, il sorso di pompelmo freddo e chiaro che le era scivolato giù aveva dissolto quel moto d’ira. Con le dita descriveva cerchi sul bicchiere ed era un po’ assorta.

Nicola le ripeté la domanda.

Lei sospirò ed alzò le spalle.

-Grande la sua casa, signor Nicola, disse poi.

Grande la mia casa, ma che cosa c’entra la mia casa, non capiva proprio ma se lei voleva parlare della casa avrebbero parlato di quella, non voleva turbare l’atmosfera che si era creata, ed allora le disse che sì, era grande, anche troppo grande per lui. Voleva vederla?

Sì, la signora voleva vederla e si alzò sbottonandosi il primo bottone dell’abito di seta, e tanto bastò al tessuto molle perché scivolasse giù aderente alla pelle umida e lasciasse intravedere il solco del seno.

Occorre sapere ancora qualcosa, pensava Nicola e tutto assorto in quei pensieri non aveva notato nulla, è importante delineare meglio il personaggio, capirne le motivazioni, l’essenza, capire perché lo odia ma è ancora sua moglie, questo pensava mentre la conduceva attraverso l’ingresso, la sala, il bagno ed infine laggiù la camera da letto, con le solite frasi, entri, la prego, le piace, neppure doveva pensarci troppo su, poteva seguire il suo filo mentale e si accorse solo in un secondo tempo che all’espressione “camera da letto” la signora Lucia si era sbottonata un altro bottone, dicendo che era caldo, molto caldo.

Nicola si aggrappò alla maniglia della porta, svegliato dai suoi pensieri alla vista del reggiseno di pizzo della signora, dall’udire le parole che caldo, che caldo, pronunciate sempre più mollemente e capì che la situazione gli era sfuggita di mano.

Temporeggiò, prese tempo.

-Ha caldo? chiese sentendosi idiota, ma intanto pensava a che fare.

Un imprevisto, certo era un imprevisto.

Ma non era proprio questo che andava cercando? Qualcosa di nuovo, di fresco, non era quello uno spunto meraviglioso, indubbiamente migliore dell’odio che ne era il sottofondo? Non avrebbe potuto forse scrivere un’altra storia?

Lei chiedeva se si poteva sdraiare perché il caldo le faceva girare la testa e lui le disse di sì. Lucia si adagiò sul letto, chiamò Nicola che le si coricò accanto, e cominciò a carezzarla. Lei rispose con impeto impensato.

-Ah, non credevo che mi desiderassi, non l’avevo capito…

-Io ti desidero Lucia, disse Nicola, e nella foga di immedesimarsi in quell’impensato ruolo di amante la palpava con vigoria sempre maggiore, anche perché gli fu chiaro che ora da parte sua occorreva una viva partecipazione.

E mentre il reggiseno si adagiava per terra Nicola si lasciò andare, e non doveva più pensare a che dire che fare, era tutto facile, tutto naturale. Si era lasciato andare alla nuova ispirazione.

I corpi s’intrecciarono, e i capelli di lei ricadevano sulle spalle, sul seno, sulla schiena, sul viso di Nicola, a seconda dei movimenti nella passione amorosa…

Quando si chetarono fuori si era ristabilito un po’ di fresco umidiccio che si infiltrava lentamente dentro la stanza. C’era un ragnetto che aveva attaccato la sua tela a un gancio delle tende e stava lì appeso nel vuoto, annaspando. Il sole s’infiltrava con i raggi del tramonto, e disegnava riflessi arcani sopra la pelle.

Il problema ora, pensò Nicola, è quale spessore dare al nuovo personaggio maschile, che non era ancora ben definito. Era stata una semplice avventura?

Sarebbe risultato troppo banale, la solita storia tra vicini, incontri fugaci e lui che se ne vanta con gli amici.

No, doveva trovare qualcosa di diverso, lui doveva essere anche tenero, doveva dimostrare sensibilità, doveva…doveva essere capace di amare. Anche nel breve spazio d’un tardo pomeriggio.

Guardò gli occhi di lei e le parve che annaspassero, come le zampette del ragno, un verde vitreo di cui non si vedeva il fondo.

-Ti amo, uscì fuori Nicola carezzandole una coscia e non si ricordava di avere detto mai nulla di simile.

-Anch’io ti amo, rispose Lucia e Nicola a quelle parole si sentì leggero come un elfo che vola in un bosco in cui non avrebbe mai osato entrare prima.

-Però ora devo andare, disse lei con voce incrinata.

-No, disse Nicola, con voce ferma, resta.

-Ti amo, ma devo andare…ora arriva lui.

-Ma come puoi stare con lui, Lucia, dimmelo…

-Non posso fare altrimenti, non è possibile ormai nulla di diverso…o almeno, almeno così credevo, e prese a toccarlo e a baciarlo sopra i pochi peli del petto quasi con disperazione.

-Se lo vuoi sarà possibile, disse Nicola con empatia, e sentendo un lieve stordimento, capì che non gli importava più di sapere ancora.

Quando lei lo salutò, ferma sulla porta, ricompostasi in tutti i suoi bottoni, lui si sentiva felice e pronto per brandire la penna e padroneggiare le possibilità che regala il foglio bianco.

-Lo scriverai? chiese lei con fare complice mentre girava le mandate della serratura. Ci fu uno sguardo, fra loro, uno sguardo d’intesa, che non ebbe bisogno di ulteriori spiegazioni.

-Lo scriverò, disse Nicola dandole l’ultimo bacio e guardandola scivolare via per le scale, sentendola chiudere la porta e ritornare al silenzio dal quale era venuta.

Lo aveva ben chiaro in testa, che cosa scrivere, ben preciso e delineato come le ombre ferme contro i muri in quel pomeriggio estivo, palazzi, persone, alberi che si proiettavano nei mattoni ardenti.

Quello che aveva vissuto, avrebbe scritto, esattamente tutto quello che aveva vissuto.

Perché aveva capito Nicola quanto era viva la finzione letteraria, fluida e creatrice e feconda nel suo inseguire la vita. E si voleva scrollare dalla pelle le vera finzione, quella della realtà, che ti si appiccica addosso, ambigua e ricattatrice, maschera che si ingrandisce e diventa grottesca, giorno dopo giorno, senza che tu te ne accorga.

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Pubblicato da limontenews

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