Il racconto a puntate sulla storia di Isolina, una ragazza in visita ad un paziente ricoverato in un ospedale psichiatrico

Quarta parte del racconto a puntate di Marina Salucci che ci parla della storia di Isolina, una ragazza che si reca in visita in un Ospedale Psichiatrico dove è ricoverato Walter, un suo parente, e che scoprirà un mondo di cui non era a conoscenza.
L’ALTRA CITTA’ – Quarta parte
Senz’altro faceva parte del metodo di cura. Non affrontare il malato di petto, ma percorrere dolcemente la sua strada finchè non si accorge da solo che non è quella giusta.
“Riprodurre con la plastica la struttura del diamante…” Le parole dello zio le tornavano alla mente, i suoi fogli pieni di formule che si ostinava a spiegare, con calma dapprima, quasi con disperazione poi.
E quella porta in cui il sole s’adagiava piano in un tardo pomeriggio settembrino come tanti altri, pareva insidiare veramente lo splendore del diamante, e poteva essere quella di un sultano in terre lontane.
La guardò intensamente, Isolina, guardò una per una le finestrelle lucenti ritagliate nel legno, pensando che quasi… quasi sembravano davvero… ma che stava pensando… anche lei cadeva nel tranello, ah, ah, come tanti amici che quasi si erano fatti convincere dall’abilità in chimica dello zio, ma no, non era possibile riprodurre il diamante con la plastica.
Prevenendo un secondo incoraggiamento della signorina, girò la maniglia ed entrò.
Il signor Walter Badini, con un doppiopetto grigio e una camicia intonata, sollevò la testa dalla scrivania in cui stavano ammonticchiati fogli ed ancora fogli, schemi, disegni, lettere.
Alle sue spalle un’elegante libreria d’ebano in cui vani a giorno s’alternavano ad ante di vetro dove erano esposti altri anelli e collane e spille, con pietre che parevano preziose, almeno a giudicare dalla loro lucentezza.
Isolina pensò che se l’avesse incontrato fuori, magari nel grande scalone di marmo, oppure nel viale, mica l’avrebbe riconosciuto.
Che cambiamento, che metamorfosi…Negli occhi aveva ancora le camicie discinte, i gilet stropicciati degli ultimi tempi trascorsi a casa, la smorfia della bocca angustiata dalla sofferenza, gli occhi tesi non si sapeva dove…
Che dire che fare pensava Isolina, già era difficile comportarsi con un pazzo, figuriamoci con un pazzo che non pareva tale, che sembrava una persona come tante altre, che si alzano alla mattina, si vestono con cura e vanno al lavoro, si siedono alla scrivania e guardano le loro carte, parlano, ridono, si arrabbiano, mentono, amano, così tutti i giorni, tutti i giorni finchè…
Incredibile l’efficacia del metodo di cura, chissà quale mente l’aveva ideato, questi malati trattati da sani, lo zio messo lì ad una scrivania, con chissà quali pratiche inventate, ma che importava, l’importante era evidentemente che si sentisse utile, attivo.
Chissà quanto costa tutto questo, che dire che parole scegliere, mentre il verde pieno dei suoi occhi incontrava quello vitreo dello zio, il sorriso dello zio gliene suscitava uno un po’ impacciato, il “ciao” caldo ed entusiasta dello zio si sovrapponeva al suo, timido e basso di tono.
Lo zio le andò incontro con un sorriso smagliante, aprendo le braccia verso di lei.
Si sentì abbracciare, baciare, dire che stava proprio bene in quel rayon rosa, che aveva un ottimo aspetto, mentre lei cercava di sforzarsi per contraccambiare almeno un poco di tutto quell’entusiasmo.
-Come sei bella, questo taglio ti calza a pennello, quanto mi fa piacere vederti, vieni, siediti, cara…
Lei lo guardava come intontita, mentre il sole che se n’andava si posava sui suoi occhi ed accresceva il disagio senza che se ne rendesse perfettamente conto.
Lo zio s’alzò e tirò giù una elegante tendina di pizzo bianco, un tocco di classe in quella stanza-ufficio ultramoderna.
La sistemò con cura e tornò da lei. Sorrise ancora guardandola, lui che mai aveva fatto caso ad un suo capo d’abbigliamento, poi iniziò:- Cara Isolina, non guardarmi così, sono sempre io, lo zio Walter, sono sempre ancora di nuovo io, ti capisco, cara, mi vedi qui dentro, e probabilmente così diverso…Ma dimentica la pazzia, l’ospedale, dimentica tutto, siamo tu ed io. Ed io sto molto bene, ora, lo vedi Isolina. Spero che anche tu stia bene. Siediti, cara, l’incubo è finito, siediti, lo vedi, possiamo parlare e stare insieme tranquilli, come tanto tempo fa, ti ricordi, eh, ti ricordi…Bene, ora è come prima, meglio di prima, ora io sto bene.
Ricordava, Isolina, ricordava. Il suo legame con lo zio, tutto ciò che li accomunava e li rendeva così simili agli occhi altrui. Sin da bambina le dicevano è tutta lo zio Walter e lei ne era contenta. Quello zio era così simpatico e burlone, non si curava di ciò che doveva fare per forza di convenzione, era aperto e libero, la faceva giocare e divertire come a lei piaceva. E poi, più grandicella, le veniva spontaneo narrare a lui le emozioni dei primi amori, poiché trovava comprensione amorevole ed orecchie attente ai problemi, sorrisi aperti alla sua gioia, anziché divieti e sguardi di disapprovazione.
Marina Salucci – Continua
Prima parte: https://limontenews.wordpress.com/2023/02/25/i-racconti-di-marina-salucci-laltra-citta-prima-parte-2/
Seconda parte: https://limontenews.wordpress.com/2023/03/04/i-racconti-di-marina-salucci-laltra-citta-seconda-parte-2/
Terza parte: https://limontenews.wordpress.com/2023/03/11/i-racconti-di-marina-salucci-laltra-citta-terza-parte-2/