I RACCONTI DI MARINA SALUCCI – IL FIORE ALLA FINESTRA (SECONDA PARTE)

Foto di Gian Marco Crovetto, riproduzione riservata

La seconda e ultima parte del racconto di Marina Salucci dal titolo Il fiore alla finestra, un testo dai toni surreali che vede protagonista un pittore e una piantina che non mancherà di farci riflettere. La prima parte del racconto la potete leggere qui: https://limontenews.wordpress.com/2023/01/09/i-racconti-di-marina-salucci-il-fiore-alla-finestra-prima-parte/

Scusa, siniore, vuoi… e gli propose alcuni oggetti.

Il pittore fu infastidito da quella presenza invadente che gli guastava il sole, il mare, i pensieri.
Era appena uscito dopo mesi di dolore, ed ora che respirava l’aria salmastra e porpora, ora che riusciva a respirare, a ritrovare i suoi pensieri…

No, no, disse secco e continuò a camminare lentamente.

Guarda, tu guarda, disse il ragazzo ancora, guarda le piantine, porta una in casa… ed alzò una piccola pianta che aveva un fiore azzurro più azzurro del mare. Ne prese una e gliela porse.

Il pittore si irritò moltissimo per quella insistenza e disse no, no, in modo così arrabbiato, che non fu difficile al ragazzo scorgere nella sua rabbia la sua paura. Nella sua paura il suo dolore.

E allora alzò ancora la sua pianta, con quel fiore che faceva luce, la portò alle mani del pittore, lo guardò sorridendo, e gli disse questo è dono, questo è dono per te, e gli occhi gli splendevano ed andarono dritti dritti ad incontrare quelli del pittore.

Gli occhi del ragazzo erano scuri ma splendevano di una luce simile a quella del fiore, il pittore stava per rifiutare ma al contatto con quegli occhi e con quel sorriso il rifiuto si sciolse, altre cose si sciolsero, le sue mani si aprirono ricevendo la piantina con il fiore, e non sapeva che cosa dire, era lì fermo nella piazza mentre il ragazzo sorrideva e diceva dono, dono, poi pensò di essere stato davvero scortese, si scusò e riscusò, e infilò la mano nella tasca per cavarne dei soldi, ma il ragazzo fu veloce ad andarsene.

Il vento soffiava ancora nella sera calda, il mare rispondeva con piccole scaglie d’acqua e di luce, e tutto era rosso, rosso, luminosamente rosso…

Il pittore passeggiò ancora un poco, e poi tornò a casa, voleva trovare un posto a quel fiore. Pensò alle stanze che non aveva più curato, che erano polverose e buie, come se la vita non vi abitasse più, e invece un fiore così aveva bisogno di un ambiente limpido e splendente, ebbene, si disse, la rassetterò, lo farò, anzi lo farò subito, e qualcosa dentro gli circolava, qualcosa di dimenticato.

Salì le scale con passo più lieve e arrivato in casa, posò il fiore in anticamera, e decise di iniziare le pulizie, anzi, avrebbe fatto anche qualche spostamento, qualche variazione, certo…

Passò nell’altro vano per mettere mano agli attrezzi di pulizia, che da tanto tempo non toccava. Li guardò, ricordò la sua compagna, e in quell’istante non provò più dolore. E capì che quando la nostra vita dipende da un’altra persona abbiamo già perso tutto.

E in quel preciso momento, mentre il dolore del pittore volava via, successe qualcosa.

Successe che le cose presero un corso diverso da quelle che siamo soliti vedere, un corso che non si può spiegare, perchè noi viviamo circondati dal mistero, e spesso lo neghiamo, il mistero del sole che sorge, del mare che gorgoglia, del seme che sboccia…

Del fiore che si alza in volo, nell’aria rossa di vento salato e di sole, e leggero, diventa piuma farfalla petalo, si va a posare sul tavolino davanti alla finestra, la finestra che aveva aperto prima il pittore.

E quando il pittore arriva con gli stracci in mano, quello che vede gli fa cadere tutto…

Vede il fiore che ha volato fino al tavolo che il vento ha pulito dalla polvere, non sa come abbia fatto ma è successo, vede le foglie del fiore che si sono fatte più larghe, brillanti, fuori la luce divora tutto, la linea dell’orizzonte si curva nella sua sfericità ma il mare le rimane appiccicato addosso, il mare si fa bianco intorno alle case colorate del paesino, e il sole impazzisce di luce intorno al campanile, chissà perchè proprio lì ha deciso di morire, ma è così, il campanile brucia di sole e quel calore, quel calore tocca il pittore come una scossa.

E così il pittore corre in un altro stanzino, veloce veloce, non sta pensando a quello che fa ma lo fa lo stesso, prende i tubetti, alcuni sono secchi ma alcuni no, prende le tele, e i diluenti, e tutto ciò che gli serve, e si sistema davanti alla finestra, si sistema e incomincia a muovere i pennelli, e non pensa, non pensa ma lascia che la luce lo inondi, che la luce passi alle sue mani, le sue mani sono colore, il pennello si muove, a volte delicato, a volte violento, va avanti crea, crea, crea.

Sono già sorte le stelle nel cielo buio quando il quadro è finito, e il mare nero è rischiarato solo da qualche barca silenziosa. La notte ha fasciato il piccolo borgo con il suo blu fondo.

Ma il quadro freme di luce, illumina tutto e continuerà a farlo, perchè ciò che si crea quando qualcosa ci risplende dentro rimane, e splenderà domani, domani, e domani ancora, e in tutte le notti buie che arriveranno, a far luce quando luce non c’è, a parlarci del colore del cielo, quando intorno ci sono le tenebre.

E al pittore, servì a ricordargli chi era, e a non scordarlo mai più.

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