
I lettori affezionati di Limonte News conoscono ormai bene Marina Salucci e i suoi racconti che pubblichiamo da tempo, ma anche le sue riflessioni sulle vicende che riguardano la cultura, il costume e l’attualità. Oggi abbiamo intervistato a tutto campo Marina Salucci che, questa volta, si racconta lei ai nostri lettori.
Buongiorno Marina, per cominciare potrebbe fare una piccola autobiografia ai nostri lettori?
Sono nata a Genova esattamente un secolo dopo Pascoli (ecco che ora cercate di scoprire l’anno…).La mia famiglia era toscana e io sono la prima generazione nata qui. Il legame con la terra degli avi è rimasto però forte. Fin da piccola ho amato lo studio e andare a scuola mi piaceva molto. Avrei voluto laurearmi in Lettere o in Psicologia. Ma Lettere era declassata (era il periodo del trenta a tutti) e Psicologia a Genova non c’era. Alla fine scelsi Pedagogia, ma poi conseguii l’abilitazione all’insegnamento delle Lettere. Lavorai otto anni come metalmeccanica, di cui cinque all’Ansaldo. Poi feci il Concorso e andai a insegnare. Lo feci perché credevo di avere qualcosa da dire e da dare. Però ho anche ricevuto tanto. A scuola si insegna, ma dai ragazzi si impara tantissimo. E dai colleghi anche. Andando avanti, tirai fuori le mie storie dal cassetto e pubblicai il primo libro di racconti; “L’altra città”. Seguirono poi tre romanzi, ambientati nella nostra epoca e tesi a capirne le problematiche. Attualmente sto faticosamente scrivendo il quarto. Mi piace molto camminare, e anche andare in bicicletta. Ho un figlio, Tiziano, a cui sono molto legata.
Quando è nata in lei la passione per la scrittura? Si è ispirata a qualche autore in particolare?
Da piccola ascoltavo incantata le storie per bambini che mi leggeva mio padre. Quel mondo di fate, gnomi ed esseri volanti mi affascinava. Appena andai a scuola e mi insegnarono a leggere e a scrivere non smisi più. Iniziai con le poesie, poi i diari, e poi i racconti… Sempre con la stilografica, che usava allora, e mi pareva che con quell’inchiostro fluido le idee scivolassero meglio. Quei caratteri scuri che diventavano parola e dunque comunicazione mi sembravano una magia. Ancora adesso, spesso, scrivo prima sul foglio e solo in un secondo tempo alla tastiera. Sono due mezzi molto diversi. Con il primo vai a ruota libera, con il secondo hai modo di rivedere, controllare, riordinare. Non mi sono ispirata a nessun autore, perché è bene sempre ricercare una voce propria. Naturalmente credo che i miei autori preferiti, a forza di leggerli, si siano un po’ appiccicati alla mia penna.
Che genere letterario preferisce e quali sono i suoi autori preferiti?
Amo molto il romanzo storico, ma in generale tutti i libri che scavano nell’interiorità dell’individuo e nei problemi sociali. Se un libro è ben scritto, posso comunque leggere qualsiasi genere. Italo Calvino è stato il mito della mia adolescenza e lo è ancora. Mi piacevano la sua ironia, la sua limpidezza, la sua profondità. In seguito mi appassionai molto anche a Josè Saramago, nobel portoghese per la letteratura, che con la sua prosa avvolgente riesce a catturarti. Ma ce ne sono tanti altri: Vassalli, De Carlo, Vittorini, Sciascia… E naturalmente i classici, quelli valgono sempre la pena.
Passiamo adesso ad argomenti più di attualità, in Italia è risaputo che si legge poco, secondo lei perché? Colpa delle nuove tecnologie oppure le ragioni sono più profonde?
La lettura richiede calma, tempo, disposizione al pensiero e all’introspezione. Che cosa è rimasto di questo nella nostra frenetica società? Il libro viene considerato desueto e noioso dai più, spesso anche perché il lessico si assottiglia e risulta difficile comprendere ciò che si legge. Meglio il cellulare, sempre pronto e disponibile a fornirti informazioni veloci che dimenticherai, oppure a metterti in contatto con il mondo. Ma è un mondo virtuale. La lettura invece ti permette di conoscere davvero, di sentirti in sintonia con l’autore, di rispecchiarti nelle sue pagine. Sentite che cosa ha scritto Galileo: “Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza fu quella di colui che s’immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? Parlare con quelli che son nell’Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci mila anni? E con qual facilità? Con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta”.
Cosa si dovrebbe fare per incentivare di più la lettura?
Credo che innanzitutto occorrerebbe la volontà, e non mi pare che ci sia. La nostra società spinge per la tecnologia, per la fretta, via con il piede sull’acceleratore, si inneggia al consumo. Comunque innanzitutto ci vorrebbe l’esempio. Della famiglia, della scuola, di tutte le istituzioni.
Pensa che i media, la televisione e ancora di più internet e i social network se usati bene possano diventare un mezzo per promuovere la lettura?
Se usati bene sì, ma a me pare che non lo siano. La tv offre programmi scadenti, e quelli decenti te li devi cercare con il lanternino. Internet è un mezzo troppo veloce e smisurato per favorire la lettura. In quanto ai social non c’è un vero confronto, ognuno scrive senza leggere l’altro.
Lei è stata per anni insegnante, crede che la scuola attuale faccia poco per avvicinare i ragazzi ai libri? Cosa si potrebbe fare per invertire questa tendenza?
L’insegnante che ama la lettura e la scrittura riuscirà a trasmettere questo amore. Troverà gli autori giusti, li leggerà con la giusta espressione, e non obbligherà i ragazzi a leggerli. La lettura e l’obbligo non vanno d’accordo. Le biblioteche di quartiere, dove i ragazzi possono toccare, vedere, annusare, e scegliere in autonomia sono un’ottima offerta del territorio. L’insegnante stimolerà, butterà i semi, tanti, vari, e qualcuno attecchirà. La scuola nel suo complesso, e mi allargo anche alla società, sono molto carenti verso l’incentivo alla lettura. Sembrano esserci altre priorità. La lingua italiana in generale sta perdendo importanza. Ma è con la lingua che si impara, si comunica, si conosce. Più vocaboli si padroneggiano e più il pensiero sarà articolato. A volte mi chiedevo se ci fosse la volontà di formare un esercito di ignoranti. E me lo chiedo ancora.
Un caro saluto a tutti i lettori!