
Un importante ortaggio, anche se poco conosciuto, che fa parte dei Presidi di Slow Food e che rappresenta la stagionalità del periodo, è il cardo gobbo di Nizza Monferrato, coltivato fin dall’antichità e considerato uno dei cardini della gastronomia ma che, purtroppo, fa molta difficoltà a trovare spazio sulle tavole dei consumatori italiani.
Lo scrittore e accademico Bonaventura Tecchi scriveva di questo ortaggio: “Il cardo è il più duro e aspro e insocievole fiore. Sorge di solito al bando di altre piante e biade, solitario, sull’orlo di una maggese fra spighe, […], ornato soltanto, verso la metà, d’un paio di foglie dure, a sventola, che in cima ha un pugno di spine e si chiama cardo. Eppure a me è piaciuto… Chi m’insegnò ad amare il cardo fu un contadino”.
Slow Food spiega che dalle asserzioni del Tecchi emergono alcune delle caratteristiche organolettiche del cardo, così come lo troviamo in natura, che rendono comprensibile una scarsa attrazione in gastronomia, ma si evince anche che ad esaltarne la peculiarità è lo stretto legame con il cardarolo, ovvero il contadino, che, attraverso una serie di tecniche e conoscenze, riesce a renderlo più affascinante e appetibile.
Il cardo gobbo di Nizza Monferrato, storico Presidio Slow Food, fonda le sue radici nella parte settentrionale della Val Belbo, tra Nizza Monferrato, Incisca Scapaccino e Castelnuovo Belbo, dove i cardaroli hanno sviluppato una tecnica molto particolare, che rende i cardi gobbi.
La semina avviene due volte all’anno, a maggio e a settembre, quando i cardi sono già alti e rigogliosi, che vengono piegati e ricoperti di terra, tentando di liberarsi per ritrovare la luce si gonfiano e si ricurvano, arrivando così fino alla raccolta, che inizia nella prima decade di ottobre e va avanti fino a febbraio, in questi mesi le coste perdono ogni traccia di clorofilla e diventano tenere e bianchissime.
Piero Bongiovanni, chiamato dai concittadini nicesi il “cardarolo genitle” e contadino da generazioni spiegava a proposito del suo mestiere: “Bisogna capire il momento giusto per seminare e quello per raccogliere i ciuffi alti e legarli. Il cardo patisce le gelate, quindi devono essere previste. Prima del loro arrivo si scava un’ampia buca accanto al cardo, lo si lega e poi, con delicatezza, senza spezzarne il fusto, viene coricato su un lato e ricoperto di terra mentre le foglie devono sempre rimanere fuori. Il cardo deve essere bene in pendenza perché l’acqua scivoli via. Come si può pensare che questi gesti possano essere fatti con dei trattori? La manualità è la cosa più importante. Ci sono cose che le macchine non possono sostituire. I cardi sono uno dei più buoni ortaggi che la natura, con l’aiuto dei contadini, possa dare: ciascuno deve essere curato come se fosse unico”.
Fu proprio questa la filosofia con cui Piero Bongiovanni e gli altri produttori di cardi gobbi della Valle Belbo decisero di aderire al progetto dei Presidi Slow Food, stilando un rigido disciplinare che è diventato, nel corso degli anni, una vera e propria bandiera. I produttori del Presidio Slow Food, infatti, possono utilizzare solamente la varietà tradizionale Spadone, la migliore in assoluto e hanno il divieto di impiegare fertilizzanti, erbicidi e antiparassitari chimici, che li rende, grazie al loro lavoro buono, pulito e giusto dei veri e propri custodi della biodiversità.
La simbiosi tra uomo e natura, sulle sponde del fiume Belbo, va avanti di generazione in generazione, coinvolgendo anche giovani che hanno deciso di riprendere il lavoro dei loro nonni. Slow Food ribadisce, specialmente a questi giovani ma non solo, di essere consapevoli dell’importanza del loro ruolo, custodire, tutelare e insistere nel coltivare prodotti come il cardo gobbo vuol dire mantenere in vita antiche tradizioni, piccole economie e la biodiversità naturale e culturale dei propri territori.