La data del 25 aprile, istituita festa nazionale con una legge del 1949, rappresenta per l’ Italia la riconquista della libertà. Gli aspetti celebrativi ne ricordano il percorso. Vogliamo pubblicare in queste pagine gli ultimi giorni di guerra ad Arquata Scrivia, attraverso testimonianze locali raccolte dallo studioso Edoardo Morgavi, che ringraziamo per averci dato la possibilità di mettere a disposizione dei lettori la ricostruzione storica degli avvenimenti.
Nella notte fra il 23 e il 24 aprile 1945 erano rimasti ad Arquata una dozzina di militari tedeschi appartenenti al reparto che aveva installato cariche esplosive in diversi luoghi della zona con l’intento di distruggere le tre vie di comunicazione: statale dei Giovi, “camionale”, linea ferroviaria. Il compito di questi militari era quello di attendere ordini per eventuali azioni, ma nel frattempo perlustravano le strade di Arquata con gli scarponi appesi al collo per non essere rumorosi nella marcia. Una squadra del SIP ( servizio informazione partigiana), comandata dall’avvocato Mario Debenedetti, con abile strategia li catturò tutti. Il gruppo più numeroso venne preso all’incrocio tra Via Buozzi e Via Roma, intimando in tedesco “hande hoh” ( mani in alto), poi i prigionieri furono condotti al forte di Gavi. IL mattino del 25 aprile i partigiani arquatesi delle SAP (squadre di azione patriottiche), comandate da Carmelino Gobbi, si schierarono sulle alture dietro l’ospedale, armati di una decina di mitragliatrici “Breda”, con l’intento di contrastare una colonna di soldati tedeschi provenienti da Borghetto, che giunti a Vignole, deviarono verso Precipiano, dove sostarono circa un giorno, circondati dai partigiani, infine si arresero dopo lunghe trattative. Anche questi furono condotti al Forte di Gavi. Nel pomeriggio del 25 aprile il comandante partigiano e il vice del SIP avv. Debenedetti, conoscitore della lingua tedesca, si recarono a Rigoroso per trattare la resa di un centinaio di militari provenienti da Genova, che nel corso di un rastrellamento, passando da Sottovalle, avevano ucciso due abitanti Camillo Semino e Giuseppe Guido, il 22 aprile. I militari tedeschi si erano fortificati in una piccola galleria cieca, sotto l’attuale ferrovia nei pressi della borgata “ La Costa”. I partigiani proposero di arrendersi e di consegnare le armi e il comando tedesco dopo circa un’ora uscì con le bandiere bianche e le mani alzate, consegnando le armi. Quando i militari arresi capirono che gli assedianti erano solo cinque, era troppo tardi. Anche questi furono condotti al Forte di Gavi. Il 27-28 aprile un certo numero di soldati tedeschi, provenienti dal campo di prigionia di Dovanelli (Val Borbera) sostarono una notte a Arquata nel cortile cosiddetto del “Pellegrino” (ora corte Borro). Il giorno dopo vennero accompagnati verso Isola del Cantone per essere consegnati alle forze armate alleate americane. Durante il percorso il gruppo si fermò a Rigoroso presso la “curva della morte”, dove alcune donne delle case vicine dissetarono i prigionieri. A metà strada tra Pietrabissara e Isola del Cantone un anziano sottoufficiale, molto affaticato, chiese di fermarsi, perché non riusciva più a sostenere il peso dello zaino. Il comandante partigiano “Pellico” gli suggerì di buttarlo, ma il militare gli fece vedere che portava oggetti per i propri figli in Germania dove tutto era distrutto. Il comandante chiese alle camicie nere in fondo alla colonna di portare lo zaino , costringendoli a farlo, con i ringraziamenti del sottoufficiale tedesco. A Isola i prigionieri furono presi in consegna dagli americani e depredati dei loro oggetti personali , restituiti subito dopo prontamente su ordine dei comandanti.

L’UCCISIONE DI DARIO DEBENEDETTI, FRATELLO DELL’AVVOCATO MARIO, GIA’ SINDACO DI ARQUATA NEGLI ANNI ’70.
Partigiani provenienti dalla Val Borbera nell’ autunno 1944 prelevarono un avversario per motivazioni politiche. L’arquatese venne liberato nella notte. Il “ fermo” fu segnalato dalla moglie alle brigate nere. Queste, con l’intento di ispezionare il territorio, si divisero in due gruppi, uno prese la scaletta di Via San Giovanni e l’altro percorse Via XXV Aprile, la strada che porta a Varinella. Dario Debenedetti, che faceva parte della divisione “Pinan Cichero” fu trovato presso la casa della “ Tencina” e, all’intimidazione di alt, si fece conoscere alzando le mani. Il comandante delle brigate nere (forse Valdi) tentò di sparargli con la pistola, che si inceppò, ma un’altra camicia nera ( Gnoccato) gli sparò alle spalle. Dario, gravemente ferito, fu abbandonato, ne fu impedito il soccorso da parte della Croce Verde accorsa. Prima di spirare i lamenti dell’agonia durarono diverse ore nella notte, come testimoniò una persona abitante nelle vicinanze. Il giorno dopo il suo cadavere fu prelevato da alcuni cittadini e trasportato in paese, su un carretto tirato a mano. Oggi un cippo in Via XXV Aprile, all’incrocio con Via della Barca ne ricorda la tragica fine.
