Otto marzo.
Ancora mimose, scarpette rosse, panchine rosse, quote rosa. Cerimonie, slogan, molta retorica.
Ma davvero crediamo che tutto questo possa essere utile alla questione femminile, al dilagare dei femminicidi?
Davvero crediamo che le donne avranno la strada spianata da storpiamenti grammaticali quali MINISTRA, ASSESSORA, ARCHITETTA?
C’è da fare molto di più. Bisogna andare a fondo, scavare alle radici del problema.

Ogni donna che viene uccisa è stata lasciata da sola. Dalle forze dell’ordine, dalla giustizia e dai suoi provvedimenti blandi e fragili come fogli di carta, dalle istituzioni, ma anche dalla famiglia. Madri, padri, fratelli, interi quartieri. Intorno a ogni donna che cade si è creato il vuoto. E l’uomo ha inferto i colpi. Quell’uomo che è mosso da pulsioni ancestrali, da retaggi atavici, dall’incapacità di accettare il cambiamento. Io sono l’uomo, io non chiedo, io ho, io comando. Ai peggiori archetipi si lega l’ignoranza e il pregiudizio. Una miscela esplosiva.
La donna è stata lasciata da sola. Intorno a lei c’è l’indifferenza di tanta società civile, il silenzio che si trasforma in complicità.
Occorre andare nel profondo, affrontare i fantasmi che sono nel cunicolo nero. E lo si deve fare insieme. Perchè il genere maschile, nella sua parte sana, intelligente, sensibile, leva così poco la sua voce di solidarietà e condanna? Perchè non ci sono posizioni nette, dure, continue? Perchè ci sono sola urla nel deserto?
Se questa parte della società civile, maschile, si animerà, e sfonderà l’indifferenza, qualcosa si muoverà. E allora le donne dovranno essere pronte, pronte a capire che gli uomini non sono tutti uguali.
Marina Salucci
