In occasione del Giorno del Ricordo ecco una bella intervista fatta dalla nostra Marisa Pessino alcuni anni orsono alla signora Lilla Saina, deceduta qualche anno fa, che racconta la sua esperienza diretta di testimone degli orrori avvenuti negli anni appena dopo la fine della II guerra mondiale:
“ Ormai è tardi! Tardi ricomporre il puzzle identitario dell’ex Istria, tardi dopo decenni di obblio, dolorosissimo ricordare gli orrori, le violenze, l’esilio seguito al trattato di pace con il quale l’Istria divenne Jugoslava” Con queste parole alcuni profughi istriani trasferitesi ad Arquata accolgono l’invito a raccontare la loro esperienza. Fra questi la testimonianza più interessante è quella della signora Cirilla Saina, da tutti conosciuta come “Lilla”, vedova di un esule, Giovanni Saina.
Ci racconta la Signora Lilla: ”Giovanni nasce nel 1928 a Pisino (oggi Pazin in Croazia, ndr), paesino dell’Istria, in Provincia di Pola. Nel 1947, profugo in Italia, nella caserma di Tortona, lavora dove capita, fa qualunque cosa, stuccatore, muratore, contadino. Frequenta l’osteria gestita dalla mia famiglia, qui si trova con altri connazionali e greci, per giocare a carte. Nel 1958 ci sposiamo e ci trasferiamo ad Arquata dove in seguito mio marito troverà lavoro nella Cementir. Giovanni è un lavoratore, mite di carattere, calmo, ben inserito nel tessuto sociale arquatese. Abbiamo gestito per sette anni il bar della Cementir, poi abbiamo rilevato la tabaccheria nel 1974/75 che gestiamo ancora oggi”.
– Signora Lilla suo marito parlava di quel periodo tanto doloroso della sua vita?.
– “Si, certo. Ma soprattutto ne parlava mia suocera Luisa, che viveva con noi. Diceva “Quando c’era la guerra l’Istria era ancora degli Istriani. I partigiani e i Tedeschi terrorizzavano: i primi infoibavano, i secondi fucilavano. Poi sono venuti i militari di Tito, i suoi comitati popolari, il distacco imposto dall’Unione Sovietica ed i conseguenti “gulag” per i dissidenti, la guerra assurda che da un giorno all’altro ha contrapposto i Serbi ai Croati, i Croati ai Bosniaci”.
– E’ rimasto qualcuno della sua famiglia a Pisino?
– “Due fratelli. Uno è morto di tubercolosi, l’altro ucciso dai partigiani e gettato in una fossa comune. Mia suocera raccontava un episodio occorso a Norma Cossetto, che aveva insegnato a Pisino, alla quale Trieste ha dedicato una strada ed una targa: “A Norma Cossetto, martire istriana”.
Nel 1943 la ragazza venne prelevata in casa da un gruppo di partigiani, portata ad Antignana, legata, distesa su un tavolo, stuprata e torturata da una turba di uomini ubriachi e poi, alla fine di quel martirio, infoibata lì, ad Antignana, insieme ad altri innocenti. Il padre, uscito a cercarla, venne fatto precipitare a sua volta in una foiba”.
– Le vittime delle foibe quante sono state realmente? Suo marito ne parlava?
– “E’ una pagina poco nota nella storia. Le stragi avvenute nelle zone occupate dai partigiani slavi durante la loro avanzata nel territorio italiano e dopo il passaggio dell’Istria alla Jugoslavia di Tito, sfogavano vecchi rancori o regolavano questioni personali. Centinaia di italiani o jugoslavi scomodi venivano massacrati. La tecnica era quasi sempre la stessa: una lunga fila di vittime veniva portata sull’orlo di una foiba (pozzo carsico profondo fino a decine di metri), una raffica di mitra uccideva i primi della fila che precipitavano nell’inghiottitoio, trascinandosi dietro i compagni, ai quali erano legati, molto spesso vivi. Questa situazione, dopo l’occupazione slava, si ripetè con proporzioni accresciute. La maggior parte delle tombe naturali non è più in territorio italiano ed è impossibile fare una esatta stima della strage, ma è probabile che fra uomini, vecchi, donne e bambini il numero si aggiri sulle 20.000 vittime”.
– Cosa dicevano, Signora Lilla, i suoi congiunti dello straziante dopoguerra Giuliano?
– “Tutti gli italiani, fascisti o presunti tali, antifascisti slavi contrari a Tito erano destinati a morire perchè italiani e potenziali oppositori del regime comunista del dittatore”.
– Qualcuno di voi è tornato a Pisino?
– “Si, mia suocera dieci anni dopo. Ma è stata infelice nell’andare ed altrettanto infelice nel ritornare. A Pisino tutto le è stato confiscato, non aveva più la casa, il giardino, la strada in cui giocava bambina. La sua vita è cominciata in un modo e poi, “trac”, è continuata in modo totalmente diverso. Sono scappati in tanti con l’arrivo della Jugoslavia, non era facile restare. Ma la terra è di chi la ama, non di chi la possiede. L’abbracciano con lo sguardo della memoria, “è il paesaggio dell’anima”.
M.P.
