Le malattie sono parte integrante della storia dell’umanità. Attualmente ci troviamo esposti alla minaccia del Coronavirus, ma, da quando l’essere umano ha iniziato a raggrupparsi nello stesso luogo, le malattie contagiose hanno assunto un ruolo specifico. Parallelamente alla crescita della popolazione, quando una malattia si diffondeva e colpiva varie regioni del pianeta diventando una minaccia ,le prime pandemie iniziarono ad essere documentate, mutando le società in cui si sono manifestate e, a volte,condizionando in modo decisivo il corso della storia.
Un tipico caso del genere avvenne con il re franco Teodeberto, della dinastia dei Merovingi, il quale calò in Liguria attorno al 500 d.C. con 100.000 uomini e travolse le truppe bizantine a Tortona. I Franchi saccheggiarono la regione e Genova ma, decimati dal colera, dovettero rientrare in Austrasia, mentre i Bizantini rioccuparono il Tortonese e ricostituirono il confine al margine cispadano.
La prima pandemia di peste di cui si è a conoscenza è quella che è avvenuta a Costantinopoli durante il regno di Giustiniano scoppiata nel 541, dove oltre 300.000 persone morirono, una percentuale del 40% della popolazione. Si è poi diffusa per due secoli in tutta la zona mediterranea causando diverse decine di milioni di vittime.Una delle più grandi pandemie della storia fu la peste nera scoppiata in Europa a metà del ‘300. Gli storici dell’epoca stimavano che nel continente la popolazione si ridusse dagli originali 80 milioni di persone a soli 30 milioni. Infatti pare che la più nefasta epidemia subita dagli abitanti di queste terre risalga al 1348, testimoniata anche nel paese di Ovada, quando solamente un suo abitante su cinque scampò al terribile flagello della peste nera. Lo testimonia un’epigrafe murata all’interno dell’artistica loggia di san Sebastiano.Se oggi sono più severi i controlli sanitari negli scali aerei internazionali, un tempo, all’annuncio di una possibile invasione epidemica, alle porte d’ingresso alle città si controllavano con maggior rigore i forestieri, si cacciavano i vagabondi e, inoltre venivano allestiti i lazzaretti e le quarantene nelle chiese “fuori le mura”
Nel nostro paese la prima notizia scritta che ci è stata tramandata sullo sviluppo di questo morbo sui nostri territori risale al 1481. Infatti in quell’anno la Magnifica Comunità di Arquata aveva espresso il voto di fare un pellegrinaggio a piedi in Valle di Gavi, dove esisteva un venerato dipinto della Madonna, per scongiurare l’arrivo nel nostro paese della peste che infieriva nel vicino Stato di Milano. E questo voto contro la peste si è mantenuto fino ai giorni nostri.
Altre pestilenze scoppiarono in seguito nei nostri territori e come quasi sempre provenienti dalla Cina o dall’Estremo Oriente.
Nel 1567 i decessi nella nostra parrocchia furono 58, più del triplo della media di quegli anni. Probabilmente deve essere scoppiata nel borgo una epidemia che colpiva soprattutto i bambini, perché ben 38 su 58 furono le piccole vittime.
Un’altra pestilenza che investì Arquata fu quella del 1580. Colpì gravemente i territori del Ponente Ligure e la stessa Genova. Arquata a quei tempi aveva meno di mille abitanti e dai dati dell’archivio parrocchiale si apprende che avvennero 31 decessi di età varia, molti di più della media di quegli anni.Tra questi sono stati segnalati 4 casi di peste, ma forse non era stata specificata questa causa di morte per altri deceduti.
La famosa peste narrata dal Manzoni nei “Promessi Sposi”, scoppiata dal 1629 al 1631, colpì diverse zone del settentrione, tra cui quelle intorno al nostro paese. Gavi, Serravalle e diversi paesi dell’Ovadese subirono gravissime perdite per lo scoppio di questa pestilenza bubbonica, con la scomparsa di oltre la metà delle loro popolazioni. Arquata non sembra sia stata toccata da questo flagello, perché nell’archivio parrocchiale non risulta nessun decesso in quegli anni per questa causa, anzi i morti furono minori degli anni precedenti. Questo anche perché nel 1625 la popolazione del nostro paese subì già la perdita di oltre un quarto dei suoi abitanti per fame e stenti, dovuto al passaggio delle truppe franco-savoiarde nel nostro territorio, dirette alla conquista di Genova. Comunque, per scongiurare l’allontanamento della peste dal nostro paese, la Comunità di Arquata il 25 ottobre 1630 aveva fatto il voto di onorare e festeggiare S. Rocco con una messa solenne cantata, seguita da un generale processione per il paese. E questo per tutti gli anni seguenti, fino a oggi, con le celebrazioni nel giorno della sua morte,il 16 agosto.
Un’altra grave pestilenza scoppiò nella penisola nel 1656, iniziando in Sardegna dove era giunta dalla Spagna. Dall’isola il flagello si spostò a Napoli e a Genova, dove fece strage della metà degli abitanti. Genova passò dai 100’000 a neanche la metà dei residenti. Un certo Padre Antero Maria da San Bonaventura, Agostiniano Scalzo si era prodigato molto per soccorrere gli appestati e poi scrisse un libro sulle sue esperienze, con il titolo “Li lazzaretti della città e riviere di Genova del MDCLVII” . Descrive la situazione del lazzaretto della Consolazione, uno dei tanti sorti a Genova durante quella tragica epidemia. C’erano alla Consolazione dieci medici, due infermieri ed un gran numero di servitori: c’era da combattere il “Flagello di Dio” e servivano persone dotate di grande forza fisica, capaci di contrastare la furia che prendeva i malati affetti dalla peste.
Racconta Padre Antero di un uomo che in sei non riuscirono a tenere, tanto che egli si vide costretto a farlo incatenare nel bosco.
Scrive Padre Antero: sovente nel più profondo della notte, si tumultuava in modo come se tutta Consolazione fosse in armi, tanto bestialmente si inferocivano i frenetici.
Gente che si buttava dalle finestre, nei pozzi, al di là dei muri di cinta, con le persone sotto che, con una coperta tesa, tentano un disperato salvataggio.
Visioni da inferno dantesco e su questo sfondo si muove il Padre Antero, che non conosce timore nè cautela. Accanto a lui, un esercito di volontari, alcuni già profondamente intrisi di ideali religiosi, altri convertiti: tutti, senza riserve, si spendono e si sacrificano per il bene comune. Seppur il paese di Arquata fosse molto legato alla Lanterna, specialmente nel commercio, si riuscì a bloccare questo contagio, probabilmente perché arrivò prima la notizia dello sviluppo della peste a Genova attraverso uno dei tanti mulattieri che faceva spola da quella città al nostro paese.
In momenti di pestilenze le amministrazioni del nostro paese prendevano provvedimenti drastici sui controlli degli arrivi di forestieri o abitanti di altri paesi per contrastare un eventuale contagio. E quindi senza indugio il Consiglio della Magnifica Comunità di Arquata fece costruire una barriera che chiudeva i due accesi al paese, sia nell’ingresso nord che in quello sud , installando le guardiole dove alloggiavano le sentinelle che impedivano l’accesso esterno dal paese. Lo stesso drastico intervento si fece molto probabilmente anche nella precedente pestilenza del 1629-31, che salvò dal contagio, anche allora, il nostro paese.
Se alla fine del ‘700 la peste non spaventa la gente come nei secoli precedenti, nuovi virus sono pronti ad insinuarsi nell’uomo e a minacciarne la salute. Però questo morbo esiste ancora adesso in Asia, Africa e America con mediamente oltre 600 casi all’anno e un centinaio di morti.
