Seconda parte del racconto d’amore di Marina Salucci dal titolo “Le stelle del presente”, la prima parte, pubblicata domenica scorsa, la potete leggere qui: https://limonte.news/2020/09/13/marina-salucci-racconta-le-stelle-del-presente-1-parte/
Nell’aria grigio-gialla si sparsero onde di risa sonore.
Salirono.
Lui la fece accomodare, cercando di togliere un po’ di confusione.
-Avanti, mettiamo su un bel caffè, che ne dice?
-Va benissimo, rispose lei, pensando che aveva un certo appetito.
Lui svitò la caffettiera, la sciacquò, la pulì accuratamente, e mentre la riavvitava si fermò, si girò verso di lei, e senza quasi accorgersene disse:- Ma lei ha già cenato?
-Assolutamente no, rispose, e gli piantò un faccia un sorriso che si stava trasformando in risata. E lei?
-Neanche per idea, sono appena arrivato, e rise di gusto.
-Sa che le dico, aggiunse subito, altro che caffè, adesso ci facciamo una pastasciutta, che ne dice, le va bene, buttiamo due spaghetti, e poi troviamo qualcos’altro da mettere in tavola, con tutto quello che ho comprato oggi…
Lei disse:- La pasta è meglio del caffè. A casa mia avrei fatto lo stesso. Se vuole posso andare a prendere del sugo, l’ho fatto…
Lui obiettò: -No, no, ho comprato del pesto artigianale, sembra roba buona, lei stia pure lì che faccio tutto io!, e si affaccendava contento.
Lei pensò:- Si sta bene insieme a un uomo che ride e parla in sintonia, che prepara la pasta anziché il caffè, che trova il modo di dare un senso a sporte insignificanti,
Lui pensò:- Si sta bene insieme a una donna così spontanea e allegra, non l’avrei detto quando la vedevo passare, e invece… che bella avventura una pastasciutta…
In breve gli spaghetti furono cotti e dunque s’adagiarono nello scolapasta. Dal lavello si levò una nuvola di vapore caldo che aleggiò intorno, nascose il viso di lui, lei lo vide sparire come in un incantesimo, poi la nuvola densa si dileguò, il pesto fu diluito, i visi e le cose ebbero di nuovo la loro forma, l’aroma si sparse per la cucina, e le forchette già scalpitavano.
Divorarono la pasta ridendo e parlando di stelle e di stalle, poi altre leccornie, con eloquio sciolto e battute pronte, le parole uscivano senza doverci pensare, e sembrava ce ne fossero tante che volevano essere dette.
E poi arrivò il caffè brontolando sommessamente.
Dopo aver sparecchiato lui chiese: -Allora vado a tirare fuori il telescopio dalla dispensa, le va? Ed era entusiasta che la serata si prolungasse.
-Certamente, rispose lei, dovremmo riuscire a vedere Pegaso, e se siamo fortunati anche Cassiopea e Andromeda…
Aprirono la finestra ed era un incanto. Non c’era nessuna luce e le costellazioni che erano cieche dall’altra parte, da quel lato erano chiare e nitide.
Lui disse: -Ecco, ora puntiamo su Pegaso, venga, dovrebbe esserci ancora, ecco, ecco, guardi…
Lei andò, lo vide, esclamò per il nitore, cercò altre costellazioni, si passavano il telescopio, stupivano, gioivano. Andarono avanti ad esplorare tutto il cielo. Volarono come volava Pegaso, fra le storie di crudeltà e quelle d’amore, fra gli dei e gli eroi, e sembrava che anche loro avessero messo le ali.
Lei disse: -Quante cose contiene il cielo, come faranno a starci tutte, anche tutti i nostri pensieri che salgono su, non tutti sono luminosi, eppure il cielo continua sempre a brillare…
Lui rispose: -E’ proprio per questo che è bello, per tutto quello che ci sta, un impasto infinito che accetta tutto, e tutto diventa luce, è la sua ricchezza.
Lei disse: E’ una frase meravigliosa, non ci avevo mai pensato… La sua ricchezza…
Neanche lui ci aveva mai pensato, gli era venuto fuori nell’emozione del momento.
La notte saliva e veniva freddo.
Lei si strinse nelle braccia.
Lui le offrì un golfino di lana morbida. Chiusero la finestra.
La casa odorava ancora di pastasciutta e di calda intimità serale.
Né lei né lui vi erano più abituati. Il cielo non se n’era mai andato, il calore umano in fondo c’era sempre stato, ma la paura, le sofferenze del passato, che brutti scherzi aveva giocato… Avevano scelto la solitudine come compagnia per non soffrire.
Ma ora, quella sera, pareva così bello, tanto bello che la paura non formicolava più, e forse davvero era diventata un uccello dalle lunghe piume, e se ne era andata a volare lontano, lontano, nelle stelle dell’altro emisfero, e forse ancora più in là.
Lei disse:- L’aiuto a mettere a posto il telescopio, lui approvò e si girarono nello stesso momento, la stessa rotazione di corpi, braccia e mani, in modo che una mano toccò l’altra, un braccio un altro braccio, e i corpi erano vicini, davvero molto vicini.
Non si sarebbero forse cavati d’impaccio, ma il telescopio in quel parapiglia pensò bene di cadere, ed entrambi cercarono di afferrarlo. Lei lo acchiappò, ma era pesante davvero, e la portò ad atterrare sul parquet, e lui vi arrivò un attimo dopo.
I corpi vicini furono ancora più vicini, e anche le mani si intrecciarono, descrissero percorsi, carezze brividi silenzi parole, pelle che parla, archi che si tendono, occhi che brillano nella reciproca conoscenza e fusione…
Due corpi, due persone vive, che pulsavano di emozioni, di sentimenti, con una storia tutta da scoprire…
Le stelle camminarono nel cielo, le costellazioni ruotarono, cambiarono gli dei e gli eroi. Sorse poi la stella del mattino. Da est si levò la luce fioca e sublime che sta fra la notte e il giorno, la luce in cui sfilano veloci tutti i colori dell’anima.
Si svegliarono. Furono felici di guardarsi e di potersi confermare che erano ancora lì, che da due sacchetti da buttare fosse nata una notte di stelle. Lessero la gioia negli l’uno dell’altra. Poi si vestirono, ognuno aveva qualcosa che lo aspettava.
Dunque furono sulla porta.
Nel momento del congedo lei fu assalita dalla paura, che era tornata alla carica. Si chiese come sarebbe andata quella storia, se il domani avrebbe dispensato ancora stelle, o il cielo sarebbe mutato in tempesta.
Anche lui sentì il vuoto del distacco, e in quel vuoto la paura si infilò. Erano stati vicini, felici, ed ora, ora che sarebbe successo? Sarebbero andati avanti su quella strada, oppure si sarebbero trovati di nuovi sbalzati, lontani, di nuovo estranei?
Si guardarono, e si videro negli occhi le reciproche paure, come in uno specchio.
Lui volle parlare per primo e disse che non era mai stato così bene con una persona. Un regalo inaspettato. Ma ora si stavano facendo domande dettate dal timore del domani. Perché il passato aveva lasciato qualche cicatrice.
Lei fu rincuorata da quella condivisione e disse che la paura arriva senza preavviso e vuole certezze che il futuro non può dare. Gli fece una carezza.
Lui sentì una vibrazione rigenerante. La abbracciò. Le recitò i versi di un poeta latino che esortava a non interrogare il domani, e li recitava anche per se stesso.
Poi uscirono e scivolarono nelle proprie vite, leggeri per le scale e fuori nelle vie, pensando che il presente aveva regalato stelle a profusione, e nel presente avrebbero cercato di vivere.
Perché la certezza del domani a nessuno, a nessuno può essere elargita.
