Un nuovo appuntamento con i racconti a puntate di Marina Salucci, ecco la prima parte de “La pietra serena” un brano intrigante con un colpo di scena finale che non vi sveleremo fino alla fine:
Il giovedì santo piangeva una pioggia rugiadosa, lieve pulviscolo d’acqua sotto un cielo inquieto.
La piccola strada lucida e scura si snodava fra le vigne e gli ulivi. A tratti la vegetazione s’infoltiva di querce, lecci e pioppi, in mezzo a cui spuntava la torretta di qualche costruzione patrizia, oppure di più recenti casali in pietra.
Erminia, lentamente, guidava e guardava. La fretta che l’aveva accompagnata per tutto il percorso in autostrada sembrava svanire nell’aria umida, nella terra gonfia e scura, nelle curve sensuali dei colli. Aveva marciato di fretta, ed ora poteva godersi l’infinità delle sfumature verdi del paesaggio, senza temere di arrivare tardi dagli amici che l’attendevano per cena nella loro fattoria.
Vi si erano trasferiti dalla città da cui Erminia proveniva, e ora producevano formaggi, olio e vino. Scelta felice, pensava guardando i tronchi muschiosi e dei lecci e i paesini persi nell’incavo delle colline.
Ad un tratto un vistoso cartello giallo, spuntato dopo una curva, che la informò che a dieci chilometri si trovava la Pieve di Lapina, monumento nazionale risalente al X secolo…
Monumento nazionale, pensò Erminia eccitata, non ne aveva mai sentito parlare, che strano. Strano davvero, ad ogni modo decise in pochi istanti che non poteva perderla.
E così nei dieci chilometri che la separavano dal monumento, accelerando un poco, Erminia pregustava le delizie che poteva serbare una pieve che s’era perduta nel verde del tempo.
Le ultime centinaia di metri andavano percorse a piedi. Anche se la pioggia insisteva, Erminia fermò l’auto e si inoltrò nella stradina che si insinuava fra gli uliveti terrazzati, ghiaiosa e chiara. Gli ulivi si contorcevano tendendo ora alla valle sottostante, ora al monte, ora al cielo che li bagnava sottilmente, al cielo dove le nuvole correvano con fretta e fra gli spiragli che s’aprivano usciva e svaniva la luce.
Certamente un piccolo delizioso Getsemani, pensò Erminia. Un piccolo Getsemani senza dolore.
Era possibile?
Lasciò alle spalle quella domanda e affrettò il passo per distanziarsene in fretta, trepidante per la pieve che ancora non si intravedeva.
Lo sterrato si inerpicava curva dopo curva, terrazza dopo terrazza…
Forse ho frainteso l’indicazione, pensò Erminia. Nel confuso orizzonte di pioggia si scorgeva la sagoma di grigi paesini fumanti di nebbia e più vicino ulivi, ulivi e ancora ulivi, nodosi, bramanti, gesticolanti..
Già si stava interrogando sull’opportunità di quella deviazione, quando una nenia d’acqua la distrasse dai pensieri. Erminia guardò e sorrise: che meravigliosa fontanella in pietra, con una testa simile a quella della Gorgone, dalle cui grandi labbra fuoriusciva un lento getto chiaro…Subito dopo il sentiero diventava una stretta via lastricata, che conduceva con discrezione ad una minuscola piazzetta delicata, e intorno casine in pietra così piccole che sembravano quelle dei nani, con portali in legno talmente lucido e delicato da far pensare a un sogno, a una visione, forse ad un teatro che aspettava i suoi attori…
Certamente, a qualcosa di diverso dalla realtà.
Di lì a poco, una stradina invitava il passante a svoltare bruscamente e salire.
Erminia voltò bruscamente e salì.
Allora finalmente la vide…. Una piccola pieve romanica in pietra serena, proporzionata alle case dei nani, con bifore delicate, monofore cieche, minuscolo rosone vitreo, fresco portale. Il tutto, fuso nella magica armonia della miniatura, sortiva un effetto tale da rapire lo sguardo e il pensiero. Erminia si incantò e le sfuggì un sorriso: tutto discreto e delizioso, con lo splendore di un minuscolo gioiello che regala una luce inaspettata, un’emozione indescrivibile….
Salì al sagrato. La porta era aperta e ne fuoriusciva un fitto buio. Si girò ancora un attimo alla valle, vide tutto con il filtro dell’acquerugiola fine, mentre le nuvole galoppavano portando banchi d’ombra e venature di fitta luce.
Poi entrò.
Lentamente, dal buio fitto, presero forma navate e colonne, con capitelli uno diverso dall’altro, con santi, tralci, grifoni, diavoli, lupi e lupe, altre fieri indefinibili, gigli e aquile, tutto così sublime, pacifico e silenzioso, statico e fugace in quel gioco di luci ed ombre che entravano dalle piccole finestre e si rincorrevano sopra alle ali delle aquile, alle foglie degli acanti, al piccolo e solido altare intarsiato. A dare corpo e forma a tutto ciò che Erminia vedeva era la pietra.
Pietra serena, lesse Erminia nel pannello che dava qualche cenno sulla chiesa, e trovò il nome perfetto.
Guardava in alto i decori dei capitelli, per lo più figure animalesche (zoomorfe diceva il pannello, ma le piaceva molto di meno) dalle parti sproporzionate ma magnificamente espressive e suggestive, eppoi diavoli soccombenti agli arcangeli provati dalla lotta, santi dai visi gravi segno di interiore travaglio, angioli con la spada pronta alla giustizia sul peccato ed un piccolo Francesco riconoscibile solo dal lupo.
Su tutto un silenzio tranquillo ed un profumo d’incenso d’estasi, a dispetto dei sacri travagli rappresentati.
Pietra serena…
Da una monofora dietro l’altare della navata centrale entrava un fascio di luce che viaggiava sino alle scritte di un pannello ed Erminia seppe che c’erano due tipi di pietra locale, quella argillosa, la pietra gialla, e quella su cui stava posando i suoi passi, la pietra serena.
Poi si girò, sentendo alle spalle passi cadenzati prolungati da un’ eco leggera.
-Se posso aiutarla, madonna. E dopo, un breve sorriso. La luce, nei giorni di pioggia, è così misera…
Era scuro e bello, dall’aspetto fiero, reggeva in mano un candelabro enorme e lucente, aveva un mantello color rubino ed una calzamaglia dello stesso colore, sopra ad una fine camicia chiara ed un corpetto damascato..
Erminia, dapprima stupita, si ricordò poi di aver visto un piccolo manifesto in cui si informava di una sfilata in costume degli albori del XIV secolo.
-Lei è della rappresentazione? chiese.
-Oh, sì, fece l’uomo con un inchino ed un sorriso penetrante, ed i capelli andarono avanti e indietro come un’onda, io rappresento me stesso e la mia vita. Non ho l’ardire, mia signora, di rappresentare altro da questo. Ma le garantisco che non è poco.
Erminia rise, indubbiamente quel figurante era simpatico. Si calava nel personaggio e riusciva ad essere divertente. Bella idea, quelli del posto. Luoghi vivi, saettanti di vita di cultura d’iniziative. Gran buona scelta i suoi amici.
Si accorse che la guardava fisso, mentre la luce calda della fiamma gli colorava il viso ambrato.
-E voi, madonna, di che rappresentazione siete?
Erminia si sentì addosso il suo sguardo, insieme a quella domanda e a quella luce.
Pensava a come sfuggire. Ma non trovò nessuna via.
-Voi beato! Disse cercando d’uniformarsi alla situazione. Che per quanto mi riguarda non ho ancora il piacere di conoscere con certezza la mia parte e non posso dunque rappresentarmi.
L’uomo celò a stento la sorpresa, poi inclinò lievemente la testa e la guardò assorto ed incuriosito.
-Questa è saggezza, mia dolce madonna. E dal momento in cui voi dite “ancora”, vuol dire che la vostra ricerca non è finita, ma si snoda passo dopo passo come le piccole strade che portano a questa chiesa. Che la buona fortuna vi assista nel vostro viaggio, poiché è il più arduo, mia signora.
Avevano scelto bene, pensava Erminia, indubbiamente quelli del posto giocavano bene le loro carte. Un uomo splendente, dal fascino misterioso e impalpabile, guizzante nelle membra e nella mente, con un conversare colto e ammiccante….Avevano scelto ottimamente: chissà che successo con i turisti. Eppoi che bella idea quella del travestimento, ed il candelabro….
-Grazie, disse Erminia, grazie davvero per l’augurio. In effetti il cammino da percorrere somiglia davvero a queste vie d’ulivi. La differenza è che non si sa dove vada a finire. E buona fortuna anche a voi, per la vostra rappresentazione, aggiunse. A quanto pare, voi sapete bene chi siete, continuò Erminia.
Un velo di tristezza gli fermò gli occhi. Erminia temette che la sua ironia potesse essere stata fuori luogo e se ne rattristò.
-Ora, madonna, soltanto ora. Ora che passeggio qui dentro alla luce della fiamma, tutto ha preso corpo e forma.
Sorrise e poi aggiunse:- Ora che io non l’ho più.
Ora che non l’ha più, si ripetè mentalmente Erminia, che cosa vorrà dire, non capisco.
Ma non vi pensò più di tanto. Probabilmente aveva a che fare con il suo personaggio, e le piccole rughe ai lati del sorriso erano così attraenti e la sua voce così ben modulata…
Erminia sentì la solitudine morderle le membra. Pensò che avrebbe voluto abbracciarlo. Qualcosa dentro di lei le disse che stava pensando cose sciocche, non lecite, impossibili, ma nonostante tutto quel pensiero, apparso con la velocità del fulmine, non se ne andava.
-Siete diventato triste, messere? chiese Erminia e subito pensò che forse era tutto parte di un copione, di una finzione, di una maschera.
Ma lui a quelle parole si scosse e la guardò teneramente.
-E’ grande la vostra sensibilità, madonna..
Non diede il tempo ad Erminia di replicare nulla..
-E la vostra bellezza, proseguì. Sono legate l’una all’altra….Il vostro pallore, l’eleganza delle vostre linee, la loro delicatezza….
Notò il lieve imbarazzo di Erminia..
-Ella s’en va, sentendosi laudare (la recitazione iniziò sonora, dolce, trasognata) begninamente d’umiltà vestuta, tanto che pare una cosa venuta, di cielo in terra a miracol mostrare…
Erminia ascoltava incantata e quando lui si fermò, gli disse:- Messere, voi avete recitato i versi che più io amo..Il loro incanto non smette mai di stupirmi.
-E’ per questo che io li ho recitati per voi…Ma…lo stupore è piuttosto il mio. Voi conoscete questi versi…e dunque conoscete anche il mio amico Alighieri?
Erminia lo guardò con occhi di domanda, ma subito dopo capì che faceva ancora tutto parte del gioco…Quando si recita una parte lo si deve fare fino in fondo. E quell’uomo faceva così. E ci metteva dentro anche Dante.
-Certo, messere, ho letto tutti i suoi sonetti ed anche…
-Sono lieto che la sua fama sia arrivata anche al nord, Madonna, la interruppe, ho sempre sostenuto che egli fosse il migliore dei giovani fiorentini. E anche qualcosa di più. Purtroppo, anch’egli è stato rovinato dall’avidità delle fazioni, anch’egli come tanti, come…
Si fece serio, abbassò la testa, il ciuffo gli cadde sulla mano che teneva la fronte pensosa.
– Quanta pena ha dovuto affrontare, sapeste, madonna…Perché, proseguì con voce accorata, perché quell’odio, quei massacri, perché ogni cosa si è trasformata in morte, anche l’amore?
Mai visto un attore di tale bravura, pensò Erminia, che non sapeva che cosa dire, poiché la simulazione di quel dolore sembrava così vera che se la sentiva addosso.
Lui alzò la testa, vide il suo turbamento, ed allora si scosse.
-Madonna, desiderate visitare la chiesa? Potrei essere per voi un’ottima guida, proseguì ritrovando in breve tempo il suo sorriso magnetico e quegli occhi saettanti.
Ma come potevano brillare in quel modo occhi così scuri, si chiese Erminia mentre si guardava intorno per vedere se c’erano altri visitatori, strano, non c’era nessuno, davvero non c’era nessuno e da fuori arrivava soltanto il monotono rumore della pioggia. La luce grigia filtrava e il pulviscolo vi nuotava dentro. La fiamma delle candele era immota, come se fosse dipinta.
L’uomo si accorse dei suoi sguardi di circospezione e gli occhi si accesero più della fiamma.
-Madonna, non vi preoccupate, io sono qui per voi.
A Erminia si accesero un poco le guance, ma poi pensò che sciocca, fa parte del gioco, a chiunque l’avrebbe detto, ogni cosa qui è calcolata, regione d’arte e di cultura, sanno valorizzare ogni cosa, nulla è lasciato smarrirsi nell’indifferenza, quest’uomo qui dentro sa bene che cosa deve dire e fare…
-Grazie, disse poi, siete molto gentile.
-Se gradite, continuò lui, la nostra visita sarà un po’ discosta dal consueto, poiché io so bene che voi conoscete le bifore e le ogive, così come i capitelli d’acanto e le sacre figure. A voi piacendo, madonna, vorrei farvi guardare questa chiesa con occhi diversi.
E senza aspettare risposta le offrì il braccio e Erminia notò il suo profilo fiero, il naso aquilino e sottile, lo zigomo pronunciato, la fronte ampia….Ma tutto l’insieme era di una spudorata bellezza.
Erminia si trovò a guardargli le labbra lucide e sottili e i denti bianchi. Cercò di scuotersi e si disse che da lì a poco sarebbero entrati altri figuranti e senz’altro i turisti e tutto sarebbe svanito. Ma prese ugualmente il suo braccio e gli si affidò.
Una opinione su "I racconti di Marina Salucci – La pietra serena (1° parte)"