Nella quiete del borgo di un tempo, rotta solo dal vociare degli abitanti e dal rumore meccanico di qualche rara automobile di passaggio sulla strada principale, si levava a volte nella contrada il grido di “Magnan, Magnan”.
Questa chiamata significava la presenza di un artigiano ambulante addetto alla manutenzione di pentole, secchi, paioli, ramaioli, casseruole e oggetti affini, usati nelle case.
La parola “Magnan” era sinonimo di calderaio, questi si posizionava nella Lea, all’ombra di un tiglio, accanto alla scaletta che scendeva nel piano di sotto dove si trovavano i trogoli (trôgi). La posizione era strategica per la presenza del rubinetto dell’acqua, che gli serviva a raffreddare i suoi arnesi.
Per necessità del suo lavoro scavava una piccola buca nel terreno, che a quei tempi non era lastricato, per mettervi del carbone e usarlo come forgia. Dopo averlo incendiato lo soffiava alternativamente con un piccolo mantice per attivarne la fiamma. Sopra questo piccolo fornello veniva sciolto lo stagno dentro un apposito contenitore, che serviva per otturare le falle dei recipienti portati a riparare dalle massaie.
Gli utensili casalinghi di rame e di alluminio venivano anche ribattuti e rimodellati con perizia dal “Magnan”, nonché rattoppati con chiodi di rame, specie i manici che erano soggetti a staccarsi dalla loro sede.
Il mestiere del “Magnan” era uno dei tanti di un tempo, sorto dall’esigenza e dalla convenienza di riparare gli oggetti in uso, cosa che tutt’oggi, con i principi commerciali dell’ “usa e getta”, non conviene più. Il lavoro di questa categoria di artigiani comportava un affumicamento delle mani e del viso, tanto che era sorto un modo di dire, specie rivolto a quei ragazzi che ritornavano insudiciati a casa dopo i loro giochi:”Te tainciu ig me in magnan”.
Oltre ai “Magnan” itineranti, ricordo, che fino ad una cinquantina di anni fa, Arquata ha dato i natali a analoghi artigiani, tra questi Federico Avio (u Ricu ö Magnan) con il suo laboratorio nei pressi di Vico Pessino, Giovanni Zafferano (Şafran ö Magnan) con la sua bottega in Via Interiore (De Draintu,)appena all’interno del borgo antico, dopo la loggia superiore, entrando da Piazza Santo Bertelli. Ma il primo calderaio di cui si ha notizia scritta è stato Giacomo Vairo, proveniente da Locana in provincia di Torino, , che aveva una bottega nel Vico Gelsomino, dove risiedeva nel 1800, all’età di 54 anni.