“Il libro, l’invenzione stupenda” di Marina Salucci

IL LIBRO: L’INVENZIONE STUPENDA!

E dunque hai aperto il libro.

Dopo averlo guardato, tenuto fra le mani, averne letto il titolo, che ti pareva una promessa, aver provato l’emozione dell’immagine, suggestiva sintesi di quanto avresti trovato dentro, aver pensato che a volte basta poco per capire che un libro è per te, che le parole ti entreranno dentro come frecce, spade sottili, e non le potrai ignorare più.

L’hai aperto e le pagine ti sono sembrate ali, e tu ti sei sentito pronto a seguirle in volo, l’hai aperto e hai sentito il profumo della carta fresca di stampa, che stava cercando interlocutori, l’hai anche sentita al tatto, e allora non hai più avuto indugi, via verso la sorpresa, la commozione dell’incipit. E in quelle poche parole hai saputo che quella lettura sarebbe stata importante, un solco nella mente, e certo non avevi più bisogno di ascoltare le dissertazioni dei critici.

E mentre procedevi, hai pensato a quanto è discreto il libro. Ha tanto da dire, ma ti parla solo se lo desideri, lo puoi abbandonare per anni, e per anni ancora, ma quando lo cercherai non avrà rancore, e comincerà a narrare di nuovo. Lascerà sempre decidere a te. Se vorrai, se sarai pronto, ti aprirà la mente, offrendoti l’esperienza, l’emozione, l’immaginario di un altro, di tanti altri, e con questo ti confronterai, che tu lo voglia o no. Perché tutto ciò che è scritto entra in te, vibra, echeggia. E rimane.

Hai sperato di provare la magica sensazione che ti fa sentire tue le parole d’inchiostro, che trasforma la pagina in uno specchio, che ti rende felice. Chissà… Ma subito hai pensato che un libro vale sempre la pena, che sempre è consapevolezza e riflessione, e le pagine non sono mai girate invano, anche se non ti piacerà. Anche i libri verso cui non proviamo empatia, ci portano comunque verso una maggiore consapevolezza di noi stessi, della nostra posizione nel mondo, delle idee, dei valori, dell’estetica. Certo, ci si può definire anche per contrapposizione. Perché ogni libro è un universo, creato dall’universo che è la mente dell’autore.

E ti sembrava che fosse tutto rasserenante, accogliente, stimolante, e ti pregustavi la lettura dopo l’acquisto.

E’ stato allora che ti ha preso quella tristezza fonda, pungente. Perché hai pensato alle tante persone, (tantissime!) che la meraviglia del libro non la conoscono, non la vogliono conoscere, e se ne fanno un fiore all’occhiello. A che cosa serve leggere tanto, la vita è altra cosa… E sei rimasto con il tuo libro in mano, i polpastrelli sull’immagine lucida, a chiederti perché.

La prima cosa che ti è venuta alla mente è che la nostra attualità si nutre di fretta e velocità, che non c’è più uno spazio fisico e mentale per la riflessione, per le attività che contano, ma tutto si mescola al ritmo convulso di una confusa simultaneità. L’attenzione è limitata, frenetica, saltellante.

Hai poi pensato che nel nostro presente c’è lo spasmodico desiderio di adeguarsi ai canoni e ai modi della maggioranza, di essere condivisi dai più, lontani tanto dalla consapevolezza, quanto dall’unicità, dalla profondità del libro. E questi modelli che taluni chiamano “normali” spesso sono poveri, carenti di quei valori che la lettura porta con sé: riflessione, ricerca, scavo interiore, ascolto, ampliamento della propria visuale. Assistiamo invece, hai pensato, all’esaltazione del proprio ego, della prevaricazione, della furbizia, del denaro.

L’anticonformismo dell’intellettuale o dell’artista, che di argomentato dissenso si nutriva, per la massa si è tramutato in mera trasgressione, fine a se stessa, se non all’affermazione di sé a discapito dell’altro.

Questo quadro grigio ti ha portato a pensare alla società impoverita che arriva a sorridere con sufficienza del libro e dei lettori, e che si china sul display del cellulare, pervasivo e onnipresente, e ai giovani che questo latte hanno bevuto.

E ti si sono prefigurati nella testa scenari apocalittici.

Che cosa succederà, ti sei chiesto, se il libro perderà il suo profumo, se le parole diventeranno solo byte, fino a scomparire nell’etere?

Ti sei risposto che in parte lo stiamo già vedendo, e che in parte non lo vogliamo vedere.

Senza la bellezza delle parole e dell’arte chi ci insegnerà a pensare, a soppesare i discorsi altrui, ad essere critici? Comunicheremo come automi ciechi, rinunciando alla meraviglia delle meraviglie.

La tristezza ti stava pressando le spalle e lo stomaco, quando ti sono venute in mente le parole di Galileo, del suo meraviglioso libro messo all’indice, parole fresche, stupite, e te le sei rievocate nella mente.

Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza fu quella di colui che s’immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? parlare con quelli che son nell’Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci mila anni? e con qual facilità? con i vari accozzamenti di venti sopra una carta.” (G. Galilei, Discorso sopra ai due massimi sistemi).

Ti sono sembrate stupende, come la prima volta che le avevi lette. E allora le hai trascritte, per tutti noi, perché possiamo sentire la forza prorompente del libro, della parola scritta, che rimane, che passerà le ere e i tempi, pronta a risorgere, con la sua magia, la sua energia, sempre portatrice di valore. E di meraviglia.

firenze libro aperto-2

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Pubblicato da limontenews

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