Da questa domenica inizia la collaborazione dell’autrice Marina Salucci con la nostra testata, con la pubblicazione di racconti a carattere periodico.
Marina Salucci è nata a Genova con discendenze arteine. Ha collaborato con diverse testate locali (“La Polcevera”, “Qui e dintorni”, ecc…) e riviste di letteratura. Ha pubblicato diversi romanzi quali “L’altra città”, “L’acero delle stelle”, “Di cristallo e di fiamma” ed il recentissimo “Se esistessimo davvero”.
LA PORTA CHIUSA
Fu un rumore estraneo, stridulo. Un ramo contro il vetro.
E dopo arrivò quel pensiero. Invadente, inquietante. Appuntito come una freccia.
Perché non era ancora rientrata?
Alzò la testa e incontrò le lancette: avevano camminato molto. S’erano già accese le luci della sera.
Forse l’aveva contrariata, ferita? Si pentì di aver risvegliato quei dissapori sopiti. Aveva sbagliato. Perché, perché gli era uscita, incontrollata, la frase interrogativa sull’argomento di cui lei non voleva parlare più?
In realtà era l’ultima cosa di cui avrebbe voluto parlare. Quando pensava al loro incontro tutto era avvolto da una nuvola di attenzioni, complimenti, gioia. Amore.
Ed era stato. Finché qualcosa di infido non aveva guastato tutto con una frase infelice, sgusciatagli dalle labbra. Una domanda.
Le lancette galoppavano. Sentì la gola chiusa, aghi nello stomaco. Pensò che non sarebbe tornata: perché avrebbe dovuto tornare ancora, se lui aveva mostrato un segno di cambiamento fugace, subito svaporato.
Il buio aveva chiamato le stelle. Era tardi e lei non c’era. Sentì che gli mancava l’aria.
Le telefonò. Rispose la voce asettica della segreteria. Riprovò ancora. Lo stesso messaggio. Uscire indenne da quella notte invernale gli parve al di sopra delle sue capacità.
Il telefono gli rimase sulla palma aperta della mano.
Sentì il bisogno pressante di parlare con qualcuno, qualcuno con cui stemperare la sua disperazione, e cominciò a digitare. Salutò, parlò, invitò… Ma ognuno aveva da badare a impegni di tutta rispettabilità. Si sarebbero incontrati in seguito.
Stava per interrompere definitivamente, quando vide il numero di una vecchia compagna di scuola, era una vita che non la sentiva, ma all’epoca c’era stato un legame d’amicizia forte. Forse, chissà…
E infatti l’amicizia era ancora viva. L’amica arrivò in poco tempo, e vestì subito i panni della crocerossina. Lui vi si adagiò e continuò a raccontare fatti e paure miscelati insieme. Andò avanti, avanti, poi scoppiò a piangere.
L’amica lo abbracciò. Lui pianse ancora. Si ancorò a lei come alla salvezza, e quando le lacrime cessarono sentì il suo profumo, la morbidezza dei suoi abiti e del suo corpo. Lei disse soffice che non valeva la pena di disperarsi a quel modo, in fondo se n’era andata senza una parola. E sempre lo stringeva.
Si ritrovarono sotto la coperta morbida, intrecciati nella nudità. I pensieri se n’erano andati. Le domande anche. Gli piaceva.
La partecipazione d’entrambi si fece più viva, l’intesa crebbe vivace.
E fu così che li vide lei, aprendo la porta, carica di quei pacchi che le sarebbero serviti per mettere qualche radice nella casa di lui, proprio come le aveva offerto.
I pacchi caddero con un tonfo sull’andito. E fu l’unico rumore.
Lui la guardò, ma non riuscì a reggere i suoi occhi impietriti. E parole, parole non poteva cercarne.
Mentre abbassava lo sguardo sentì la porta che si richiudeva. E qualcosa gelargli dentro. Da quel ghiaccio partirono correnti che lo percossero, con domande e accuse. A se stesso.
L’amica se n’era andata. Lui rimase lì, immobile, e percepì tutti i pezzi smontati che aveva dentro, chissà da quanto tempo. Aveva sperato che l’amore li riassestasse. Ma quello che provava, era amore o dipendenza?
Capì che c’era molto da ricostruire. E che solo lui poteva farlo. Il dolore gli stringeva gli organi. Ma ormai sapeva: lo doveva attraversare. Da solo.
E poi, poi una porta si sarebbe aperta.
Ma non quella.
Quella si era chiusa. E non si sarebbe aperta più.